domenica 17 novembre 2013

COSPLAY TARGET ORIENTED



a) Dice Roger Caillois (chi non sa chi sia si informi o smetta di leggere questo blog) che le quattro componenti fondamentali del meccanismo intellettuale del gioco sono Agon (competizione, vediamo chi è più bravo…) Alea (fortuna, la mia è abilità il suo è culo….) Ilinx (vertigine, intesa anche come scarica di adrenalina) e Mimicry (trasformazione, giochiamo che io ero qualcuno o qualcosa d’altro…). Di queste secondo me –e lo dico da tempo e in tanti ambiti-  la più importante ed efficace è l’ultima.
Chi usa il gioco in formazione dovrebbe conoscere queste cose, e usarle acconciamente al fine di arrivare agli obiettivi didattici che si è posto, mixando in modo acconcio i quattro elementi.
Che permettono di potenziare la metafora, altro potente strumento didattico.
b) C’è una cosa che si chiama cosplay (contrazione delle parole inglesi costume e play, che descrivono l'hobby di divertirsi vestendosi come il proprio personaggio preferito) che sta diffondendosi un sacco e che rappresenta molto bene il concetto di mimicry. 
Giocare ad essere qualcun altro in formazione esperienziale permette di valorizzare alcune cose che nella realtà “normale” vengono frenate dai filtri dell’abitudine: ho sempre fatto così, mi hanno sempre detto di fare così, ma se gioco a Jack Sparrow forse trovo la possibilità di cambiare il modo di farlo. Vestendo i panni di qualcun altro posso sperimentare come sono davvero al di là del costume che indosso sul lavoro.
I cosplayers più diffusi interpretano soprattutto personaggi dei fumetti e cartoni giapponesi.
c)  Daniela Fregosi (magari è meno famosa di Caillois ma se siete interessati a gioco e formazione non potete non conoscerla, cercate anche lei su Google) sa usare tutte le cose di cui ho detto sopra. Ha creato una community di formazione esperienziale che ha aiutato un sacco di professionisti a crescere, www.formazione-eperienziale.it.
Ultimamente ha aperto (si dice così?) un blog con target diverso, più allargato e ancora più importante, usando acconciamente la mimicry per formare e informare su cosa si può/deve fare quando si inciampa nella vita e ci si trova  col sedere per terra. 
Perché la formazione esperienziale non serve solo per saper gestire la leadership, o il change management, o per lo meno non solo in ambito lavorativo: a volte permette anche di empauerizzare anche la vita privata.
Il suo cosplay formativo consiste nell’entrare nel ruolo di compagna di Mazinga Z, Afrodite, cambiandole la lettera identificativa da A a K.
K sta per carcinoma, detto anche tumore. E usa la mimicry, indossa i panni dell’eroina dalle tette rotanti e indistruttibili per parlare, informare, formare e diffondere indizi, trucchi e possibilità alle donne che hanno avuto modo di ammalarsi come lei e magari non sanno, non sanno come pretendere, non sanno come affrontare o semplicemente non sanno con chi condividere questa situazione. Soprattutto donne professioniste, quelle da questo punto di vista meno tutelate da una società che spesso o è graniticamente protettiva o totalmente indifferente.
Se volete capire e sapere di più su quello che fa e dice Afrodite K il suo blog è http://tumoreseno.blogspot.it/

mercoledì 6 novembre 2013

VIENI AVANTI CREATIVO ! *




“Io non sono creativo/a… Il mio non è un lavoro creativo… Eh la creatività, sarebbe bello… Purtroppo nel mio ufficio la creatività non può entrare, qui si fanno conti…“
 
Per carità, basta, non ditelo più. Non voglio più sentire questa frase. Per piacere, vi prego… La creatività, lo affermo come uno dei pochi assiomi in cui credo, è di tutti, per tutti e ce l’abbiamo tutti. Ogni lavoro, ogni processo che sia artistico o amministrativo o produttivo ha dentro di sé la sua bella parte di creatività. Dirò di più: la creatività è allo stesso tempo un’inevitabile componente e un dovere, qualunque mestiere facciamo. Ed è un dovere incrementarla costantemente, con la consapevolezza e perché no anche con qualche corsino di supporto: se cercate con attenzione ce ne sono diversi, e molto validi, tra tanta fuffa. Anche se a volte (o molte volte) non sono compresi nelle sessioni di crescita del coaching.

Il fatto è che quando si parla di creatività le persone pensano subito a Einstein e a Leonardo, identificano lavori come il pubblicitario o il regista, e si rapportano a questi modelli. E poi per forza si ritrovano sottodimensionati, frustrati e si parano dietro alle affermazioni difensive sopra citate.
Certo, se si prende la cosa da un punto di vista diciamo così comparativo col Da Vinci o con Joice, per certi versi hanno indiscutibilmente ragione.

Ma proviamo invece a focalizzare il concetto di creatività in modo un po’ più strutturato, anche semanticamente. Magari chiamando ad aiutarci in questo arduo compito una che di creatività, intesa anche come eccellenza innovativa, se ne intende per dote naturale e per eredità professionale: Annamaria Testa. Dell’Annamaria a me piace seguire spesso il blog (che consiglio anche a voi: nuovoeutile.it). In uno dei suoi post ha ripreso un discorso molto interessante ai nostri fini, citando addirittura Poincaré, Henri , francese, matematico, fisico, astronomo, filosofo della scienza, grande divulgatore, ultimo grand savant dell’Ottocento e primo scienziato del Novecento.
Costui ebbe ad affermare che la creatività è capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili, aggiungendo come il criterio intuitivo per riconoscere l’utilità della nuova combinazione sia che sia bella, cioè che abbia a che fare con armonia, economia dei segni, rispondenza funzionale allo scopo.

Bellissima definizione no? Suona molto stevejobsiana ante litteram.

Ma il nostro Henri non si ferma qui, cala anche l’asso, indicando presupposti, condizioni e risultati del processo creativo. Dice cioè che in creatività si dovrebbe partire sempre da elementi che esistono già, e connetterli non a caso ma dopo aver selezionato quali elementi è giusto unire.
Per fare questo il creativo verace dovrebbe esercitare la conoscenza (La Testa ci ricorda come Pasteur sostenesse che la fortuna aiuta sì gli audaci, ma ancor più i preparati); l’intuizione, quando non è possibile avere tutti gli elementi necessari o che si vorrebbero avere come tali; l’esperienza, per poter avere anche quel minimo di sicurezza in sé che permette di osare e sfidare; e infine la tenacia, perché il processo creativo raramente porta subito a risultati evidenti.
Risultati che dovrebbero comunque essere evidentemente definibili come nuovi, utili e “belli”.
Se in ambito artistico e tecnologico i primi due aggettivi –nuovo e utile- sono facilmente comprensibili e condivisibili, il bello in ambito di servizio alla persona è forse un po’ più difficile da definire, come diceva Frassica nel suo personaggio arboriano Frate Antonino da Scasazza: non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello. 

Secondo me si potrebbe semplicemente sintetizzare (io sono per la banalizzazione virtuosa, se avesse un sito cliccherei mi piace per Occam e il suo rasoio riduttivo) sostenendo che il risultato bello è quello che soddisfa il creativo, rendendolo contento di quel che ha fatto.

Tutto molto bello, ma se noi siamo coach cosa c’entriamo con la creatività?
Beh, caro coach.. Cosa ne pensi dell’aiutare a mettere insieme cose che esistono già? Cosa ne pensi dell’aiutare a metterle insieme in modo diverso da quello fatto fino a quel momento? Cosa ne pensi dell’aiutare a creare utilità per il coachee? Cosa pensi della necessità di sviluppare la conoscenza delle esperienze più efficaci fatte qua e là? Che ne pensi della necessità di sviluppare l’intuito quando sembra che gli elementi razionali non siano sufficienti? Cosa ne pensi della tenacia nel sostenere la ricerca delle soluzioni, anche quando il silenzio e il buio sembrano fare muro davanti alla nostra difficoltà?
Ma soprattutto: cosa ne pensi del creare una connessione che produca bellezza di vita e di lavoro?
Mi piacerebbe avere un’indagine che fornisse una statistica sulle risposte medie dei coach a questo proposito. E poi parametrarla con un’altra indagine che ponesse la domanda: quante volte ti sei posto la domanda su quanto ti serve la creatività per essere coach? Quanto ti serve trasmettere la  crescita data dalla creatività consapevole ai tuoi coachee?
Per poi magari finire con la terribile questione, da cui in fondo siamo partiti all’inizio: ma tu sei creativo/a? E cosa puoi fare per incrementare questa tua competenza?
*Fin qui il post compare anche sulla nota rivosta di e per coach professionali Coachmag (www.coachmag.it)

Magari provare con un gioco, ad esempio il gioco dei film paradossali. Questo è un gioco che tanti si vantano di avere inventato, da Bartezzaghi a Lillo e Greg, ma i testi dicono che Woot & Kini (cioè io e Matteo Rosa) l’avevano pubblicato su Comix già dal ’93… non che la cosa poi abbia molta importanza, ma per amor di precisione…

Si tratta di prendere un tiolo di film famoso e di leggerne il senso in modo diverso dal convenzionale, per poi creare una mini recensione. Per esempio il classico e conosciutissimo Via col vento invece di raccontare la storia di miss Rossella e della guerra di secessione americana diventa la storia di un certo vicolo Anfossi, di Genova, in cui la strettoia che dà sul mare si trasforma per i passanti nei giorni di scirocco in un fastidioso foen. O il Padrino che da storia di mafia e morte si può trasformare in storia di liti fra chi assiste il nipotino alla Cresima.
Il meccanismo si presta a molte varianti, e questo evolvere diventa a sua volta un esercizio di creatività: si può dichiarare la storia e fare indovinare il titolo, raccontare tutte le storie e definire la più bella, creare una storia, la prima che viene in mente e quindi ragionevolmente banale e poi insistere per ottenerne almeno altre due…

E’ divertente, ve lo garantisco, e vi garantisco che è anche un utilissimo esercizio per aumentare la creatività che giace sopìta in voi. Pensateci un’attimo: c’è l’uso degli elementi-parole in modo diverso, c’è la conoscenza (se non conmoscete un po' di film non ci siamo), c’è l’intuizione (senza la quale non ci arriverete mai) e la tenacia, perché vi assicuro che prima poi ci si arriva.  
E per finire il risultato é una storia bella.
A meno che il narratore bari, ma allora questa è un’altra storia di cui parleremo in un altro post.


domenica 3 novembre 2013

"QUASI...HAIKU"



Pennellare una poesia? Dipingere con una metrica strettissima? Pittura e poesia sono molto più vicine di quanto si possa immaginare. Come i cubisti seguivano una loro "metrica" così  Silvia Rossetti ha deciso di usare l'haiku per dipingere, e ha anche scritto un libro che spiega come collimare le due arti con la stessa tecnica. Il libro è pubblicato in self publishing, e se vi interessa potete chiederlo scrivendo, faxando o telefonando alla libreria Libri al Centro di via Gerolamo Vegezzi 4 - 6900 Lugano (Tel: 091 971 58 70 - FAX: 091 971 58 71 Email: libreria.lugano@librialcentro.ch)

Gli haiku sono piccole poesie minimali strutturate -come fanno sempre i giapponesi- su due regole, ma strettissime e rigorose: la metrica deve rispettare i limiti di tre righe di rispettive 5, 7, 5 sillabe; e parlare di natura o di sentimenti/emozioni. Due esempi:

Serata in Sardegna    Sogno marino / annegato nel mirto / lontano da sé

Pomeriggio invernale       Quanto silenzio / la neve ti disegna / ali di foglie

La forza di questa espressione poetica è che lavorando su una sintesi obbligata produce di per sé suoni poetici, ermetici, emotivi, potenti. E risultati che ogni volta stupiscono gli stessi poeti.

Questa cosa (parlare di emozioni e stupirsi con la sintesi) mi ha portato ad usare l’haiku in formazione, organizzando un pohetic game per un seminario sull’intelligenza emotiva, nello specifico al punto in cui (seguendo la traccia del più famoso studioso del tema, Daniel Goleman) si parlava della necessità di “controllare” le emozioni attraverso il linguaggio.

Il gioco funziona così:

  • date a ciascuno un' emozione magari visualizzata da una carta emoticon come quelle che vedete nella figura qui accanto.
  • date 15 minuti generali per creare in segreto e individualmente un haiku sull’ emozione definita dal proprio emoticon.
  • mostrate a tutti la lista completa di tutti gli emoticon possibili in gioco.
  • fate leggere le opere scritte e ogni volta fate identificare dai colleghi l’emozione espressa dal poeta di turno.
  • vince chi raccoglie più identificazioni, e in caso di parità chi ha scritto il pezzo più bello secondo la valutazione popolare.
 
 Poi ovviamente non dimenticatevi del de briefing…