giovedì 27 dicembre 2012

UN AMERICANO A ROMA , MA ANCHE A MILANO


Ricordate il mitico Sordi degli anni ’60? Quello impallinato del modello americano? (http://www.youtube.com/watch?v=N8WuLcncbBM)
Beh sembra che dopo 50 anni non sia cambiato di molto il mito dell’anglofonìa.
Ok, voglio dichiarare un fermo endorsement (dare appoggio), alla possibilità di parlare –almeno in  aule di formazione- un po’ meno inglese e un po’ più italiano. Non che mi voglia riportare all’uso del ventennio in cui si traduceva ogni termine straniero in italianissime forme idiomatiche, ma anche questo modo, vezzo e passione dei consulenti di parlare inglese dovrebbe trovare un limite.
Se in ambito tecnico ormai alcune parole tendono ormai all’inevitabile -accendere come gli spagnoli un ordinatore al posto di un computer farebbe un po’ esagerato, maneggiare un topo al posto di un mouse farebbe un po’ schifo- certi dialoghi fra consulenti si potrebbero davvero evitare.
“Ho organizzato un meeting (incontro) tramite conference call (telefonata) per tutto il board (vertice) di un key client (importante cliente), a cui ho fatto partecipare il CEO (pr. sìo, direttore generale) con tutto il suo team (squadra) per dare il massimo del committment (importanza) sia alla vision (visione) che alla mission (missione) che sarebbero uscite da un briefing (discussione e analisi) fondato sul brain stroming (parlare a ruota libera) al fine di strutturare una migliore governance (indicazione direttiva) per tutta l’azienda.”
Oppure: “occorre sviluppare team building (creare un gruppo) attraverso una knolwledge sharing (scambio di conoscenze) che sia alla base del team working (lavorare in gruppo) orientato ad un efficace change management (gestione del cambiamento) che tenga presenti, in ottica di empowerment (potenziamento), sia il time management (organizzazione del tempo) che lo sviluppo dei tools (strumenti) base più importanti, quali ad esempio la leadership (capacità di guida) linkata (collegata) ai più efficienti mezzi di people care (attenzione alle persone).”
Se necessario per il debriefing (tirare le conclusioni) possiamo usare slide (proiezioni) o anche le sempre valide flip chart (lavagne a fogli).

Va bene che ogni categoria ha il suo slang (linguaggio settoriale) che le permette di fare riconoscere fra loro i componenti del clan (gruppo), e che senza un certo imprinting (caratteristica)  i coach, i mentor, i tutor e i councellor (questi non li traduco singolarmente perché è davvero sottile la distinzione ufficiale fra loro, anche se potremmo chiamarli un po’ tutti facilitatori) non si darebbero il peso che si danno. Ma quando è troppo è troppo.

Così quando in aula incontro persone che mi chiedono di non parlare troppo consulentese, io propongo, per aiutare in questo senso sia me che gli altri relatori, un gioco molto simile alla tombola: al posto delle cartelle si distribuiscono dei foglietti -come quello a sinistra- su cui sono distribuite alla rinfusa una decina fra i termini inglesi diversi da cartella a cartella. Durante i lavori le persone cancellano dalle loro cartelle i termini usati  e vince il primo che fa “lotto!” (che corrisponde appunto alla tombola, ma fa molto più figo). Risultato: la maggior parte dei relatori pronuncia il 50% in mano di termini inglesi, e la platea capisce almeno il 50% in più di quello che i relatori dicono.
A meno che la platea non sia fatta di consulenti, che allora criticano il relatore perché parla come mangia….

lunedì 24 dicembre 2012

Ci siamo, anche quest'anno Natale cade di 25


Ecco: come tutti gli anni si arriva al 25 dicembre e quasi fosse calcolato arriva anche Natale… Anzi, dirò di più, in allegato alla fatidica data si scopre che arrivano anche gli inevitabili  eventi  aziendali, amicali, parentali e via festeggiando. E spesso l’inevitabile tombola.
Amata o odiata, la tombola ci si ripropone fin dal ‘600 (pare che i 90 numeri fossero legati alle scommesse che facevano i genovesi sugli eleggibili nei Serenissimi Collegi - Senato e Camera - della repubblica di San Giorgio). E si presenta con tutti i suoi riti e tutte le sue caratterizzazioni, come sottolineato meravigliosamente in un passaggio dell’ultimo film di Paolo Genovese che vi consiglio di sbirciare in http://trailer-film.35mm.it/una-famiglia-perfetta-2012/una-famiglia-perfetta-le-regole-della-tombola-29900.html.

Essendo quindi la Vigilia, e stante il fatto che scrivo in un blog semiserio/semiprofessionale, mi ha punto vaghezza di esplicitare come la tombola potrebbe essere usata o almeno considerata strumento di formazione esperienziale, anche in occasioni non strettamente christmassiane.
Magari anche si, però tenendo presente che questo gioco ha uno svantaggio e un vantaggio: il primo che è vissuto come roba vecchia, il secondo che non si deve spendere nemmeno un secondo per spiegarlo, dato che tutti sanno come funziona. C’è poi un terzo punto da considerare: è basato praticamente solo e soltanto sulla fortuna. Quindi non ci troverete presa di decisione, visione strategica; neanche l’analisi di rischio-beneficio, data l’impossibilità di lavorare su probabilità accettabili.
Tuttavia c’è uno spazio in cui l’ho usata, e anche molto efficacemente: quello della facilitazione della conoscenza all’interno dei membri del gruppo (sarebbe la fase di forming canonizzata da Bruce Tuckman).
Basta disegnare delle cartelle cieche, cioè senza numeri, come quella che trovate qui accanto allegata (magari meglio farne una decina diverse fra loro), e darne una per squadra, invitando i giocatori (suddivisi per team da fare amalgamare) a scrivere al loro interno i numeri che i membri del team ritengono fortunati per loro.
Risultato garantito: cominceranno a raccontarsi la loro vita, avventure, parentele, cursus scolastico ed honorum per giustificare la scelta. Io ci metto il 27, perché da giovane seguivo sempre la Ferrari (“anch’io, mi ricordo un bellissimo Montecarlo del ’72), io ci metto il 12 data del mio matrimonio (“anche io mi sono sposata a giugno, faceva in caldo…”), io il 30, data della mia separazione (“ma vah, ti sei separata anche tu? ma quanti ne siamo…”) e così via….
Qualche scettico dirà: c’è la probabilità che escano due cartelle uguali… Infinitesimale, quasi come quella di fare un superenalotto.
E poi se anche capitasse qualche ambo uguale, che problema c’è? Tanto è un gioco strutturato per fare conoscere sconosciuti. E il bello è che lo si può fare in quanti si vuole (io l’ho provato su una popolazione di 260 persone…)

PS – se temete che fra i giocatori ci sia qualche assatanato per la vittoria, che potrebbe barare scrivendo i numeri mano a mano che escono, date insieme alla cartella un pennarello di colore improbabile quale il fuxia o l’arancio aragosta, che nessuno si suppone porti a una cena di Natale o aziendale, e ritirateli prima di cominciare a tirare i numeri.

PPS - BUONE FESTE A TUTTI, CON O SENZA TOMBOLE!

venerdì 7 dicembre 2012

ATTENZIONE! BANDITI A 500 METRI (dalle scuole)


L’importanza della componente di alea (fortuna) in un gioco è stata canonizzata da Roger Caillois. Se non sapete chi era costui avete due possibilità: smettere di leggere questo tipo di blog o farvi finalmente una seria cultura  sul gioco come attività intellettuale leggendo per cominciare il suo masterpiece I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine – Bompiani tascabili, meno di 10 euri. 
Nell’ambito delle metafore ludiche formative questa componente di imprevedibilità (c’è anche chi dice che la sorte non esista ma sia lo pseudonimo di Dio quando non vuole comparire in prima persona) viene usata per mettere a fuoco tutte le casistiche legate a presa di decisione, assunzione di rischio, analisi delle probabilità e via contando. E può essere sfruttata molto efficacemente per aiutare le persone ad analizzare in contesto, ad esempio, di empowerment quanto sono capaci nei suddetti ambiti. 

Io nei miei giochi formativi tendo ad inserirla molto limitatamente, e sempre avvisando, come in alcuni role playing, che una determinata situazione prevede un successo col tot % delle probabilità. Così per esempio se qualcuno dichiara che vuole passare su una passerella apparentemente un po’ fradicia saprà che, lanciando il dado da 6, con 1 o 2 precipiterà di sotto. Di conseguenza potrà decidere se correre il rischio o no, se possibile in base all’aver guardato cosa c’è sotto (coccodrilli? 200 metri di strapiombo? un materasso abbandonato?); se esistono vie alternative per passare comunque oltre; se il rischio vale il risultato (vuole solo vedere se regge? c’è un tesoro dall’altra parte?  vuol farsi bello davanti alla collega compagna di gioco?).
E soprattutto poi in debriefing considerare se e come ha preso in carico questi elementi.

Per quanto ne so questo del warning-prima è un uso che rende l’inserimento del dado un po’ meno ludico di quanto risulti nei veri e canonici giochi di ruolo, ma più orientato all’aspetto formativo della cosa.
L’attenzione a tale rischio consapevole, se proposto in questa chiave, disvelato con le dovute maniere e collimato con le usuali attitudini-tendenze dello stesso comportamento anche nel mondo del lavoro reale, può aiutare di molto il partecipante alla formazione nel prendere consapevolezza dei suoi comportamenti tipici, della loro efficacia lavorativa, e delle possibilità di assumerne diversi in occasioni-obiettivi differenti.

Uso consapevole: proprio l’obiettivo che si pongono le pubblicità di grattaevinci, slot machine e sale giochi quando, dopo aver conclamato quanto è bello e forte e innocente giocare coi banditi a un braccio solo (le slot machine) , aggiungono: gioca consapevolmente….

D’altra parte anche il governo ha da dire la sua in questo senso.
Citando direttamente uno degli ultimi Wired on line, “dopo appena una settimana dalle dichiarazioni del direttore generale dei Monpoli di Stato  Luigi Magistro sul progetto di ripianificazione della distribuzione delle macchine da gioco sul territorio italiano, ecco che il gioco stesso entra direttamente nelle nostre case. Da lunedì scorso, infatti, è in vigore la legge, formulata due anni fa, che implica la messa online di un cospicuo numero (superiore al migliaio) di sistemi per scommettere online, direttamente dal proprio computer, inserendo solamente il proprio codice fiscale e, naturalmente, un numero di  carta di credito.”
Così le slot spostate a più di 500 metri dalle scuole e ospedali (cosa c’entrano gli ospedali poi?) entrano direttamente in casa di qualsiasi studente o malato.
Ma si vede che il Balduzzi avrà fatto anche lui un corso metaforico formativo sulla presa di decisione, e avrà calcolato che le entrate per il fisco valgono il rischio di migliaia di dipendenti (molto spesso molto adulti) rovinati dal gioco on line…

martedì 4 dicembre 2012

Il gioco dei troni internettiani


Questa è troppo carina per passarla sotto silenzio, anche se forse un po’ border rispetto ai nostri temi usuali. O forse no, se vi andate a rileggere il post su contenuti e contenenti.
Ripreso da Wired attraverso un articolo di Raffaele Mastolonardo (cognome che trovo adattissimo al tema)  leggo che L’Economist pubblica un servizio sulla battaglia tra Facebook, Google, Microsoft, Apple e Amazon appena iniziata. E lo fa tramite la proposta della metafora di un gioco molto risikoso, con una cartina che vi riproduco perché è davvero troppo bella. Come si nota, Appleachia confina, ad Est, con Google Earth, la quale, a Nord, si tocca con Amazonia. In mezzo, separata dagli altri regni da una serie di colline e montagne, c'è la fortezza di Facebook. Nell'estremo Nord Est, intanto, oltre il Mare dei Contenuti, l'Impero dei Microserfs, un tempo potentissimo, punta alla rivincita.
Il tutto si ispira al ciclo di libri Game of Thrones scritta da George R.R. Martin, che descrive un mondo senza più sovrano unico ma con una moltiplicazione (deleteria per le caotiche conseguenze dinastiche) di tantissimi re. Praticamente, per inciso, un inno al monopolio, ma questa è un’altra storia.
Quello dell’Economist risalta come un altro “ Gioco di troni”, reale e digitale, in cui forse non ci sono draghi e lupi ma assedi e incursioni sì, e in cui la pace non sembra una prospettiva contemplata dai contendenti. Scrive Mastrolonardo che “nel gioco di metafore del quotidiano britannico le piattaforme diventano armi con cui le fazioni in battaglia cercano di governare le proprie terre e di conquistarne di nuove, e i brevetti quelle con cui provano direttamente a far male ai rivali”. Insomma, un rumore di fondo creato nel Web che rimbomba assomigliando sempre di più al clangore di spade.
Il tutto mi pare un ottimo esempio per sottolineare l’efficacia descrittiva rispetto ad una pur molto complessa situazione economicao finanziaria da parte della metafora-gioco.
L’impiego di wargames per simulare mercati e scontri anche intra aziendali è fra l’altro una delle metafore che più facilmente escono quando in aula di formazione si chiede di inventare un gioco che rappresenti la propria azienda, soprattutto quando la popolazione dei partecipanti è costituita in maggioranza da maschi.
Che si sia d’accordo o meno su questa immagine bellica del mercato e del lavoro, è innegabile in ogni caso che l’applicazione della metafora paramilitare (storica o attuale) permette di creare una SWOT Analysis in molto efficace e immediato, su cui fare lavorare poi in sede di debriefing i partecipanti ai corsi. Per i pochi che non conoscono lo strumento della SWOT vi cito una (secondo me)  buona presentazione nel sito Mind Tools http://www.mindtools.com/pages/article/newTMC_05.htm)